Il testo è ispirato ad un fatto reale, accaduto in un paesino in provincia di Reggio Calabria, dove Enzo, figlio minore di un’amata e rispettata famiglia del posto, decide di diventare “capo” di una banda, mettendosi contro uno dei capi mafia del paese. Nonostante i freni imposti dalla famiglia, il ragazzo non rinuncia alla sua ambizione e viene ucciso. La madre deciderà quindi di cedere anche lei alla Superbia e convince il marito a vendicare l’offesa subìta, che finirà anche lui ammazzato per aver difeso il sacro onore della famiglia. La donna non si ferma, e trascinerà anche la figlia Lisa ed il figlio maggiore Vito in questo turbine di violenze e vendette.Lo spettacolo ruota intorno al peccato della Superbia, intesa nella definizione di Sant’Agostino come “imitazione perversa di Dio”, che trova nell’ambiente mafioso un habitat naturale dove crescere e diffondersi come un virus mortale, che rende gli uomini irrazionali ed impietosi, in una corsa continua a “chiudere i conti”.In scena i personaggi della vicenda non sono presenti in carne ed ossa. Tutto è già accaduto e tutti sono evocati dal racconto straziante di Vito, in un monologo che mette lo spettatore davanti al gesto estremo di colui che porta sulle spalle un male insopportabile con cui diventa difficile convivere…Ma questi personaggi non occupano la scena. E le innumerevoli tragedie si sono già susseguite, tutte. Resta l’epilogo… ed un uomo solo: Vito. Che racconta le conseguenze di un atto di superbia estrema attraverso le parole, il corpo, lo sguardo, il suo dolore. L’innocente. Il saggio Vito. Il coraggioso. Il figlio che decide di andare via… ma che si ritrova inseguito/investito dal sentimento della madre, Lina, che non è più solo vendetta. Si è trasformato, ingigantito. E’ diventato incontrollabile. Non prova pietà per l’umanità altrui. Non la riconosce.

Camilla Cuparo