Lo spettacolo parte dall’occasione della mostra Le Stanze di Tato Russo, realizzata dalla Regione Campania dal Comune di Napoli con la collaborazione della SIAE. Lo spettacolo che ne è derivato parla del genio artistico di Tato Russo che è parte della storia del teatro italiano, per il suo contributo in termini sia artistici che istituzionali. Analogamente il suo ruolo di poeta, pensatore e intellettuale è elemento assodato della nostra storia. Gli anni del coraggio costituiscono però una narrazione di segno diverso: qui non siamo di fronte all’imponente storia di un personaggio artistico e pubblico, ritratto nella sua secolarità. Siamo piuttosto alle soglie di una fantasmagorica rivisitazione dell’effetto che la sua opera ha prodotto in termini emozionali. Ciò che questo particolare allestimento mette in gioco fa venire alla mente l’idea dell’immagine che resta impressa sulla retina, che non è necessariamente corrispondente al dato sensibile quanto piuttosto al suo fantasma.. In questo spettacolo non si entra in contatto con la sua opera quanto con la sua percezione insieme con la metafora di cui il Maestro si è evidentemente fatto veicolo. Il protagonista non è Tato Russo, ma l’immagine che di lui resta imbrigliata nella retina del tempo. Oggetti di scena, costumi, taccuini, ricordi, disegni, fotografie, bozzetti, locandine, articoli, maquettes, maschere, film, installazioni multimediali e site-specific. È impossibile individuare un percorso ma la struttura del testo priva di tragitti preordinati permette che si vada semplicemente a zonzo nel cuore e nell’opera dell’artista con la libertà di sostare, ripetere, allontanarsi, tornare, saltellare da un pensiero all’altro. Tra spounti poetici, digressioni filosofiche lo spettatore ha la possibilità di immergersi in un universo fatto di «teatro tossico, prossimo alla sifilide», «malattia», meningiti, visioni allucinate, mostruosità, paura, morte, allucinazione, buio profondo, veleno attraverso un percorso di illusione, stupore, meraviglia, maledizione. Lo spettacolo che è diretto soprattutto alle scuole per mette agli spettatori di fare esperienza del perfezionismo ingegneristico delle imponenti scenografie, ricostruite con preziosa maestria dagli allievi dell’Accademia di Belle Arti, intercettati da un’immagine luminosa, costruttiva, solida del percorso del Maestro. Si può intercettare il Tato poeta, anticonformista, critico amante della polemica e della provocazione. O ci si può imbattere nella bellezza pacifica, nella potenza e perfino nell’allegria dei Musical, o nella riproposizione della tradizione, nella rivisitazione dell’antichità classica. Tutto questo non per raccontare l’opera e la poetica del Maestro, ma per provocare il decollo verso un’esperienza visionaria nella quale alla secolarità è anteposta una dimensione percettiva metafisica, sensoriale, inorganica e plurale. Negli Anni del coraggio il proprio Sé si mescola con l’altro Sé, raccontato e messo in scena in modo che una grande verità possa emergere: il Teatro non esiste se non nella relazione e, in quest’ottica, l’opera, i pensieri, l’umanità di Tato Russo vengono rievocati non come istanze reali determinate, ma come “stimoli” filtrati dalla percezione del singolo visitatore. Al termine dello spettacolo è difficile dire se ci si sia imbattuti in Tato Russo o se si abbia avuto un incontro con se stessi, grazie a Tato Russo